L’Università è un bene comune
Libertà accademica, autonomia istituzionale e capacità di comprendere il ruolo fondante dell’Università come bene comune per la società e l’umano: questi sono i principi sanciti nel 1988 dalla Magna Charta Universitatum, firmata a Bologna da 388 Rettori di diverse università europee. Da allora, il principio stesso dell’Università come luogo della libertà accademica, della conoscenza indipendente e del sapere condiviso è stato messo fortemente in dubbio (e in crisi) da un modello economicistico, neoliberista e utilitarista contro il quale si scagliò già il Cardinale John Henry Newman, animatore del Movimento di Oxford: “Poiché costoro misurano la conoscenza alla rinfusa, come se fosse un grezzo macigno, senza simmetria, senza un progetto.”
È il neoliberismo che, teorizzando sviluppo e crescita illimitati, ha portato alla crisi economica del 2008. Pur avendo fallito su scala globale non è ancora stato messo in discussione e anzi viene riproposto come approccio risolutivo per la crisi che ha creato. Utilizzare uno strumento di gestione delle cose che ha fallito è un approccio a-scientifico, come hanno dimostrato chiaramente l’economista Florence Noiville e la studiosa di scienze sociali Riane Eisler. Eppure, a questo modello si ispira la cosiddetta ‘Riforma Gelmini’ del 2010, dove ci viene chiesto di dimenticare l’alta formazione e dedicarci principalmente alla ‘formazione professionalizzante’, in modo da rispondere soprattutto alle richieste di aziende e imprese. Si tratta in sintesi di anteporre il ‘saper fare’ al ‘sapere’, mentre i due sono strettamente complementari. Questa trasformazione nasce da una spinta globale volta a togliere alle Università la funzione primaria di luoghi della conoscenza e del pensiero critico, dove si pratica il ‘bene comune’, che può arricchire la società tutta, rendendo le nostre vite più piene e portando ben-essere.
Ma l’Università non è un’azienda, non ha scopo di lucro e dovrebbe fare ricerca ‘libera’ da condizionamenti: le grandi scoperte scientifiche maturano nel tempo e a volte improvvisamente, dopo anni di lavoro. Gli studenti e le studentesse non sono clienti, e i/le docenti non sono dipendenti. È necessario rimettere al centro l’essere umano e il dialogo fra le discipline e le persone, nei loro diversi ruoli.
Come dice Monsignor Nunzio Galantino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana:
“In un mondo che non può fondarsi solo sui mercati, il patrimonio culturale fornito dall’università gioca un ruolo decisivo. Si tratta dunque di riattivare una riflessione alta intorno al senso e al futuro dell’università, riproponendo le domande di fondo circa il suo ruolo nella società, la conoscenza come bene comune, la sua vocazione all’apertura, all’incontro, al superamento delle barriere”.
Gli studenti e le studentesse non sono clienti/utenti, e i/le docenti non sono ‘dipendenti’. È nella relazione fondante fra studenti e studentesse e docenti che nasce e cresce un sapere collettivo volto all’edificazione di una società della conoscenza, plurale, democratica, aperta e creativa. È necessario rimettere al centro l’essere umano e il dialogo fecondo fra le discipline, le persone e le forze del territorio, nei loro diversi ruoli, rifuggendo qualsiasi
visione dell’Università basata su visioni riduzionistiche, meramente professionalizzanti o strumentali.
La comunità accademica in tutte le sue componenti deve allora lavorare in modo armonico per e con i/le ‘giovani’ avendo in mente una cultura laica e interessata anche alla dimensione religiosa e spirituale della vita, che sia rigorosamente scientifica e altamente umana, per il progresso interiore, sociale e culturale e non solo ‘economico’ del nostro territorio e dell’intero Paese.
Il cambiamento parte da noi, dai piccoli gesti e dalle azioni che ogni giorno compiamo verso il 'bene comune'. Nel corso degli anni ho sempre seguito questa direzione, come ad esempio quando nel 2012, in qualità di Presidente della Conferenza permanente di Lingue e Letterature Straniere, ho scritto una lettera al Ministro Profumo sulla necessità di non dare seguito alla Riforma, cosiddetta 'Gelmini' (Legge 30 dicembre 2010, n. 240), che da lì a poco avrebbe smantellato le fondamenta dell'università italiana. Un gesto semplice per far riflettere sul bene comune, che è stato ripreso dal Corriere della Sera, poi da Affari Italiani e che è tutt'ora un segnale lungo la strada di chi desidera capire un percorso, perché nella misura in cui c'è una via, la si percorre passo passo, con fiducia, passione e determinazione.
Antonella Riem © 2022